Sì a Immuni, no al pressapochismo di governo

da | 7 Giu 2020

Sì a Immuni, no al pressapochismo.

Potremmo riassumere così la situazione dell’app di tracciamento, che avrebbe dovuto da domani finire il test e cominciare a funzionare in tutta Italia. Purtroppo anche su questo si è aperto il dibattito da stadio, quando invece sarebbe stato meglio partire con le cose a posto. In Italia però non si può.

Personalmente non sono contrario a Immuni, è uno stumento in più per arginare l’epidemia. Non costa nulla e non ha obblighi. Sono contrario al modo in cui è arrivata l’app, ai troppi difetti originari e all’impossibilità che poi funzioni davvero. Oltre ai troppi misteri che hanno circondato certe scelte.

Sì a Immuni, ma non era questo il modo

di Marco Lombardo

Secondo gli ultimi conteggi, un italiano su quattro possiede uno smartphone targato Huawei o comunque Honor, brand che fa parte del gruppo. Secondo le ultime notizie un italiano su quattro non ha potuto finora scaricare Immuni. Perché i suddetti dispositivi non possono supportare l’app di tracciamenti: né quelli più vecchi con ancora in corpo le applicazioni di Google, né quelli nuovi arrivati dopo la scure di Trump nei confronto del brand cinese.

Capirete che già partendo così, può essere solo un (in)successo. Il perché se lo palleggiano sotto traccia  Bending Spoons – l’azienda che ha prodotto Immuni – e Huawei. Di sicuro c’è un’incompatibilità anche sui dispositivi cinesi che montano ancora Google che provoca un anomalo cosumo di batteria. Pare sia rimediabile, ma lo sapremo solo in settimana.

Il danno è fatto

Già: il danno comunque c’è.

Soprattutto se – come detto all’Huffington Post dal professor Stefano Zanero del Politecnico di Milano -, «per funzionare davvero l’app dovrebbe essere scaricata da tutti». Dunque: non è un problema di privacy, ma di credibilità.

Anche gli esperti della Regione Piemonte per esempio hanno sconsigliato il Governatore Cirio di puntare sul tracciamento nazionale. E il perché sta nel fatto che con numeri limitati l’app sia inaffidabile. Tralasciando poi il discorso della conservazione dei dati, che solleva più di un dubbio. Ma la questione è: scaricare o no Immuni sullo smartphone? Risposta degli esperti: «Grazie, anche no».

Così – dopo Veneto, Friuli e Sicilia (che ha prodotto la sua app Sicilia SiCura) – un’altra Regione si è sfilata. Nonostante il governo abbia salutato come un successo che un milione e mezzo di italiani abbia fatto il download. Circa il 3% degli over 14 (sotto, per dire, non si può).

Il calcolo delle probabilità

Non è disfattismo, ma puro conteggio dei fatti.

Questione di probabilità, calcolando che per far risultare una positività uno dovrebbe stare più di due minuti a meno di due metri da un positivo, decidere di rivelarlo al proprio medico, decidere altresì di andare a fare un tampone e alle fine volontariamente consegnare il proprio codice a un server pubblico. La statistica rema contro, e anche la logica.

A questo si aggiungono le parole dell’hacker Max Uggeri, detto Il Reverendo: «Chi gestisce il database, ovvero Sogei, su questo fronte ha fatto già figure non proprio bellissime in passato. Il primo rischio è quello che qualche malintenzionato lo attacchi per generare dei falsi positivi: se fossi all’opposizione ci farei un pensierino…».

Ecco: alla fine ogni discorso si riduce a questo. La battaglia politica. Alla quale purtroppo non saremo mai immuni.

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